Teatro

I funerali del Papa e la sacralità del teatro

I funerali del Papa e la sacralità del teatro

Si può capire che alcuni siano rimasti infastiditi dall’ipertrofia delle immagini con cui è stata presentatala messa in suffragio del Papa; ma questo è lo scotto da pagare a un linguaggio ecumenico comprensibile in tutte le parti del pianeta e che perciò richiede un alto grado di spettacolarità. Si può capire che in molte manifestazioni dei giorni scorsi siano sospettabili ipocrisie, insincerità, progetti nascosti, forse complotti, ma resta innegabile che il foltissimo popolo dei poveri di spirito, a cui è stato promesso il Regno dei Cieli, è accorso a Roma per esprimere finalmente il bisogno di Dio. Il dilagante smarrimento ne ha decretato la morte, ma si nasconde nell’animo della gente la nostalgia insopprimibile per un riferimento trascendente che ricompensi del fallimento dell’avventura terrena e dia un significato al dolore e alle pene. Al di là di altre considerazioni, e di quelle avanzate dagli atei dotati di una fede nella inesistenza di Dio, forse maggiore di quanta ne occorre per credere nella sua esistenza, lo spettacolo di venerdì scorso in piazza San Pietro ha aperto il cuore a quanti conservano il culto della sacralità del teatro. Il teatro, infatti, è nato come liturgia, funzione pubblica per celebrare o invocare l’intervento della divinità nelle tragedie degli uomini, incapaci da soli di interpretare il loro destino o di riscattarsi dalle loro colpe. Ci riferiamo, naturalmente, al teatro classico greco, che diede origine alla drammaturgia occidentale e di cui oggi si offrono vuote repliche o stravolgimenti arbitrali. Se si vuole iniziare dall’impressione più immediata, ha colpito la mirabile armonia dello spettacolo che ubbidiva a una regia demiurgica perfetta nei movimenti, nelle coreografie, nei cori, nella musica come se si fossero fatte centinaie di prove quante ne richiedono le messe in scene dei registri barocchi nostri contemporanei. Il testo era noto, come erano note a tutti le favole delle tragedie di Eschilo, Sofocle ed euripide e, molto più modestamente, dei libretti delle opere liriche; variabili, e in parte imprevedibili, erano solo le interpretazioni e le emozioni degli spettatori. Per i fedeli, per esempio, la Messa convergeva verso il sacrificio eucaristico, verso la conversione, detta transustanziazione delle sostanze del pane e del vino nel corpo e nel sangue del Cristo, verso l’immolazione delle vittime e la conseguente consumazione dei suoi resti, distribuiti in tutta la piazza in forma di particole. A coloro non interessati a simili significati non potevano tuttavia sfuggire il definito ruolo degli scarsi protagonisti, qui in funzione di celebranti, come nelle tragedie greche, la presenza possente del coro con le sue risposte liturgiche e con improvvisati interventi, la sobria e toccante omelia che ha fatto apparire al davanzale della finestra del cielo, come il carro del sole, la figura luminosa e benedicente del Papa. Alla fine, deus ex machina ha rapito con la sua magica macchina teatrale l’Eroe e lo ha trasferito nella dimensione sovrannaturale invocata dalla speranza. Gli intellettuali, infastiditi e distratti dallo sfarzoso spettacolo, avrebbero forse dovuto abbassarsi a non lasciarsi trascinare dalle apparenze, ma tentare di dare a esse un contenuto, magari in virtù della loro creatività immaginifica. Eppure centinaia di migliaia di semplici spettatori convenuti da tutto il mondo si sono messi in coda per ore ed ore per assistere ad uno spettacolo che prometteva solo – e ha mantenuto – lacrime di dolore e di consolazione.